Sinossi romanzo Il cacciatore di androidi Galassia 152
Titolo: Il cacciatore di androidi | |
Autore: Philip K. Dick | |
Titolo originale: Do Androids Dream of Electric Sheep? | |
Pubblicazione originale: 1968 | |
Serie: | |
Data pubblicazione: 15/10/1971 | |
Collana: Galassia #152 | |
Editore: Casa Editrice La Tribuna | |
Traduttore: Maria Teresa Guasti | |
Copertina: Aldo Bressanutti | |
Numero pagine: 192 | |
Isbn: |
Un nuovo romanzo particolarmente impegnativo di Philip K. Dick. La tematica è quella più cara all'autore: i robot, gli androidi, così perfezionati che è praticamente impossibile distinguerli dagli esseri umani. Dick è affascinato dalla creazione artificiale della vita, perché a questo livello di simulazione si può ben parlare di vita, e soprattutto dalla sua presa di coscienza, dall'assoluta riluttanza ad essere considerata una forma inferiore. Una riaffermazione di diritti, la quale, naturalmente, riecheggia molte delle istanze che agitano oggi, in ogni parte del mondo, la società umana. Ad ogni modo, pur con questo tema fondamentale, i cui umori scientifico-sociali si possono rintracciare via via, nel passato, fino al capostipite, il "R.U.R." di Capek, con i suoi conseguimenti e le sue rivolte, lo sviluppo realizzato da Dick in "Il cacciatore di androidi" (Do androids dream of electric sheep?) è ricco d'idee originali, condotto con notevole maestria narrativa e una interiorizzazione particolarmente pregnante. La sopravvivenza degli androidi, un caso di coscienza? Sì, e Dick scava, profondamente nell'animo umano, alla ricerca di una risposta. Una risposta che sa di rinuncia, e di una mortale stanchezza. Anche la scena, d'una tragicità quotidiana, nella quale si svolge il romanzo, è una volta ancora un "dopo la guerra nucleare". La Terra, erosa, consunta, avvelenata, ospita nelle sue città semideserte una umanità spenta eppure ferocemente disposta a lottare per il possesso di questo mondo squallido, dall'aria perennemente grigia che, tra nubi di polvere impalpabile, non conosce più il sole. Mentre la radioattività penetra lentamente dietro ogni sbarramento, per consumare anche i corpi e le intelligenze dei superstiti. Ma i personaggi di Dick, pur muovendosi in uno scenario così familiare agli appassionati di science-fiction, sono uomini autentici, e una volta ancora Dick dimostra, pur nella eccezionalità delle sue trame, di coltivare con particolare attenzione il verosimile, anzi, il vero. Quindi, la descrizione delle lande desolate e delle città vuote, dove immensi falansteri risuonano del silenzio dell'umanità perduta, che ha lasciato vuoti per sempre migliaia di appartamenti, trova una particolare risonanza in noi, e ci costringe a partecipare. Oggi, una porzione più grande di uomini resiste con difficoltà all'urgenza del mondo presente, e cerca evasioni e soluzioni nella perdita di coscienza o nella creazione di utopie più sognate che vissute. Per Dick dopo che l'uso sbagliato e folle delle scoperte scientifiche e della tecnica ha precipitato il mondo nella catastrofe, la stessa tecnica superstite si assume l'incarico di conservare agli esseri umani questa alienazione fatta di ottimismo artificiale, di partecipazioni empatiche di gruppo, e consente ad essi, nell'improvvisa solitudine biologica in cui si sono venuti a trovare, la compagnia di perfette riproduzioni elettriche di animali domestici. Bizzarrie? Casi limite? Forse, ma Dick li rappresenta con tanta efficacia da farne una sorta di inferno-paradiso quotidiano, in cui i concetti di vita e morte, e amore perfino, nel grottesco duello tra l'uomo e la macchina che ha saputo creare a sua, troppo perfetta, somiglianza, scavano in profondità, fino alle più intime e disperate ragioni di sopravvivenza. Ecco, quindi, perché questo mondo eccezionale in cui vivono tutte le loro fobie e le loro illusioni i personaggi di Dick ci sembra così vicino, e per molti aspetti giustapposto, al nostro.
Contenuto del volume:
pag. 005 Introduzione di Roberta Sandro Sandrelli
pag. 007 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968) di Philip K. Dick trad. Maria Teresa Guasti (romanzo)